Online sul Flauto di Pan la recensione di Miriam Mastrovito di PUTRIDARIUM di Paolo Di Orazio, novella vincitrice del Premio Laymon 2017.
Dalla recensione: (…) Una prigione asfittica, buia, silenziosa, dall’aria irrespirabile: questo è il putridarium. Un triste luogo di espiazione, posto sulla torre di un convento di clausura, in cui le sorelle scontano i loro peccati. Angie è novizia da pochissimi mesi, non per vocazione, ma perché costretta dalla famiglia; nonostante ciò ha tentato sin dall’inizio di adeguarsi alle regole, perciò quando viene rinchiusa nella temuta prigione non sa spiegarsene il motivo. A nulla valgono le sue grida, le sue richieste di aiuto o di spiegazioni, la porta di ferro dietro cui viene rinchiusa rimane inesorabilmente sprangata. Il suo unico contatto con l’esterno è una piccola fessura da cui di tanto in tanto viene fatta passare una ciotola, a volte recante cibo, altre contenuti indicibili o messaggi enigmatici. Per il resto Angie è sola… o quanto meno presume di esserlo, senza esserne davvero sicura. Alle sue spalle, in realtà, avverte sinistre presenze, sebbene non osi voltarsi a guardare. È una situazione quasi kafkiana, decisamente asfissiante a mettere in moto gli ingranaggi di questa novella che si sviluppa come un horror psicologico, sospeso fra realtà e allucinazione. La deprivazione sensoriale, fatta eccezione per piccoli sprazzi di luce offerti da una finestrella irraggiungibile e il rumore prodotto dal moto del mare; la solitudine, interrotta unicamente dalla fastidiosa sensazione di presenze nascoste nel buio e da terrificanti visioni; l’impossibilità di misurare il tempo, se non contando le onde; la completa ignoranza di quel che potrà accadere e nello stesso tempo la certezza che sarà comunque qualcosa di orribile. Sono questi i mattoni con cui l’autore edifica una storia dalle atmosfere oniriche e intimistiche; una storia in cui l’orrore di situazioni raccapriccianti e descrizioni brutali che non lasciano nulla all’immaginazione, si fonde con quello più impalpabile legato all’incombere dell’ignoto, al materializzarsi di ricordi per nulla rassicuranti, al dolore derivante dalla certezza di non essere amati da nessuno e di non avere alcuna possibilità di appello. (…) Elaborando una trama intrigante e ricca di mistero, l’autore affronta in modo mirabile proprio il tema della psicosi, facendoci compiere un salto nell’orrore di alcune pratiche mediche in voga negli anni passati (ma mai del tutto abbandonate) e ponendoci nel contempo un inquietante interrogativo: siamo sicuri che chi viene bollato come pazzo e trattato di conseguenza sia davvero tale? E se i presunti sintomi clinici fossero, invece, il segno si qualcosa di diverso, magari di una maggiore sensibilità o della capacità di entrare in contatto sul serio con un’altra dimensione? Una lettura terrificante e coinvolgente sul piano emotivo, di quelle che strizzano lo stomaco e trasmettono un certo senso di disagio che non svanisce con l’ultima pagina. Leggi la recensione integrale sul Flauto di Pan Acquista il Libro su Amazon
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