Estratto in anteprima del breve romanzo 'Sentieri di Sangue' (The Crossings) di Jack Ketchum, in uscita a Novembre 2016 in formato cartaceo ed eBook, considerata da Stephen King la migliore opera nella carriera di questo grande autore.
Traduzione di Nicola Lombardi. (...) All’inizio pensai che a svegliarmi nel cuore della notte fosse stato il solitario ululato di un coyote, ma non era così. Era stata Elena, la sua voce. I coyote fornivano solo l’appropriato accompagnamento per qualunque strana, aspra lingua lei stesse parlando, che non era né inglese né spagnolo, ma un idioma che non avevo mai sentito prima e neppure avrei desiderato sentire, un sussurrare violento, un canto quasi privo di prolungate vocali sonore, ma che era invece caratterizzato da una serie di brevi intermezzi ansanti fra le esplosive consonanti che scattavano e sibilavano e abbaiavano come qualcosa che fosse tratto direttamente dalla natura, da regioni selvagge, da una giungla, là dove non vi era alcuna giungla, il crepitare e lo strisciare di serpenti velenosi, un alveare d’api, il guaito di un coyote, il fruscio di foglie nell’aria densa, tutti quei suoni mescolati che si ripetevano ancora e ancora mentre lei stava inginocchiata dondolandosi avanti e indietro, nuda, davanti al focolare, col sudore che le colava lungo la schiena segnata dalle cicatrici, e alimentava le fiamme con piccoli ramoscelli spezzati. Poggiato accanto a lei, contro i tronchetti, c’era un piccolo crocifisso fatto di rametti legati assieme con striscioline di stoffa. Lì vicino stavano un piatto di latta colmo di farina di mais, un altro riempito con chicchi di caffè e un terzo contenente due uova rotte. Aveva fatto un’incursione tra le nostre provviste, silenziosa come un fantasma. E in quella luce tremolante sarebbe stato davvero possibile credere che lei fosse un fantasma fatto di carne. Qualche antico demone indio intento a evocare un suo simile. Erano già trascorsi trecento anni da Cortez. Gli Aztechi, i Maya, i Toltechi, i Mexica. Tutti morti. Non era così? Ricordai la luce selvaggia dentro i suoi occhi, quando l’avevamo incontrata per la prima volta. Mi domandai cosa racchiudessero, ora, quegli occhi. Allungò una mano verso il piatto pieno di farina e ne gettò il contenuto nel fuoco. Misto al fumo di legna percepii adesso odore di pane di mais. Poi, cominciò a tremare. Ripose il piatto, raggiunse i chicchi e fece lo stesso, e allora sentii il profumo del caffe del mattino. Il suo tremito aumentò. La sua testa ondeggiava da una parte all’altra. Il dondolio si mutò poi in un movimento verticale, su e giù. Il ritmo del suo canto accelerò. Si protese ancora. Non fui meravigliato nell’avvertire odore di uova fritte, come se stessero cuocendo in una padella. Divaricò le gambe e l’improvvisa carica erotica mi colse di sorpresa, perché in quel singolo movimento tutto ciò che avevo visto e sentito assunse un significato e io seppi che stava evocando qualche energia vitale, lì, davanti al fuoco, e potei immaginare un uomo presente per tutto il tempo, una figura che si rivelava solo nel momento in cui la donna si protendeva verso l’alto, tornando silenzioso e invisibile quando lei si riabbassava. (...)
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